Non sai quale font usare per il tuo progetto? Niente paura! In un mare infinito di caratteri è normale perdersi e navigare ore e ore attraverso le forme più varie, aggraziate o bastoni (meglio conosciuti come serif e sans serif), che all’improvviso sembrano diventare tutte uguali, ma che in realtà nascondono insidiosi dettagli. Gli uomini hanno sempre avuto i loro “caratteri”, – e che caratterino! (ndr) – ma uno sguardo al passato aiuta a capire (no, non a capire come pensano) bensì come il/la font sia diventato così importante nella vita di tutti i giorni. Facciamo un bel passo indietro allora!
Il processo di stampa, la tipografia, l’incisione
Johannes Gutenberg, orafo e tipografo tedesco a cui si deve la nascita della tecnica della stampa moderna in Europa, non diede mai importanza né attenzione al genere di carattere da utilizzare quando iniziò a produrre le sue prime lettere. Non era rilevante trovare un carattere che fosse adatto a quello specifico progetto, ciò che contava era fare soldi.
Nato a Magonza (Mainz), vicino Francoforte, era figlio di un facoltoso mercante e si trasferì con la famiglia a Strasburgo. Si dedicò a diverse attività lavorative, ma negli anni Quaranta del Quattrocento tornò a Magonza e chiese un prestito per produrre inchiostro e apparecchiature tipografiche.
La sua era una visione completamente nuova e riguardava l’automazione, la coerenza e il riciclo. E in Europa fu il primo a padroneggiare i principi della produzione di massa attraverso la sua innovazione della fusione di lettere riutilizzabili. Questo suo lavoro gettò le basi della stampa per i cinquecento anni successivi.
La stampa a caratteri mobili, che in Asia esisteva già dal 1041 grazie alla tecnica dell’inventore cinese Bi Sheng (毕昇 Huizhou, 990–1051), e introdotta in Europa da Gutenberg, è una tecnica tipografica che consisteva nell’allineare i singoli caratteri in modo tale da formare una pagina che veniva cosparsa di inchiostro e infine pressata su un foglio di carta. La sua rivoluzione, rispetto alla xilografia che permetteva di stampare sempre la stessa pagina finché la matrice non si rompeva, è che con i caratteri mobili era possibile riutilizzare i caratteri e in modi diversi.
Proprio per questo motivo, grazie a Gutenberg i libri divennero più economici e reperibili, ma soprattutto, la lettura non fu un privilegio soltanto per la chiesa o i ricchi. Uno strumento rivoluzionario e assolutamente pericoloso.
Tutti i libri di Gutenberg erano probabilmente scritti a mano, un lavoro sicuramente meticoloso di uno scrivano professionista, ma non si sa esattamente come egli fondesse i caratteri, probabilmente il suo metodo fu simile al primo processo documentato due decenni dopo: la punzonatura. Si incide una lettera al contrario sull’estremità di un’asta d’acciaio lunga venti centimetri. Il punzone viene martellato poi su un metallo più dolce, come per esempio il rame, andando a formare una“matrice” incisa da inserire in uno stampo manuale di legno aiutandosi con una pinza. Il metallo fuso veniva poi versato nello stampo con un colino, indurendosi rapidamente, permettendo così di realizzare delle lettere identiche, per forma e dimensione, pronte per essere allineate a comporre le parole.
Termine inglese Font
Il termine inglese font deriva dal francese medievale fonte, che significa fuso. Nell’Europa degli anni Settanta il passaggio dalla parola fount a font fu un’accettazione della parola americanizzata. La parola font viene da fund, ovvero il fondo, la quantità di caratteri da cui venivano selezionate le lettere. Oggi la font (in questo momento mi sento francese =D ma puoi dirlo anche al maschile!) non è altro che un particolare tipo di carattere, dalle varianti più svariate, ognuno con uno stile e un peso sulla pagina diverso.
Ma perché si parla di leggibilità della font?
Un carattere è sicuramente più leggibile di un altro, ma la leggibilità non dipende soltanto dalla costruzione, bensì anche dal gusto. Il gusto, in questo caso, non è altro che la popolarità comprovata dal consumo di massa. Zuzana Licko, disegnatrice di font americana, ha infatti detto che “si legge meglio quel che si legge di più” e semplicemente “bisogna usare qualcosa che non sia necessariamente più leggibile, ma che le persone siano/sono abituate a vedere”.
La leggibilità è sicuramente favorita da capoversi regolari, margini sufficienti, dalla giustezza delle righe. È assai importante lo spazio tra le lettere e la loro relazione reciproca, così come lo spazio tra le righe, la famosa interlinea, ma anche le dimensioni contano (per davvero in questo caso!) e la scalabilità. Il peso di un carattere dovrebbe essere normale, una font troppo chiara farà sì che le lettere appaiono grigie, indistinte, una troppo scura invece troppo spesse.
Leggendo un libro o lo schermo del computer difficilmente si noteranno tutti questi “particolari” che invece usciranno fuori quando le lettere si allargano, diventando di cinque centimetri o più.
A quale famiglia appartieni?
La famiglia si sa, è importante, e ci sono gruppi di font che condividono molte caratteristiche estetiche e proprio per questo motivo fanno parte di una famiglia in particolare.
So cosa stai pensando… No, non sto parlando del Regular, Italic, Bold, ecc. qui ci arriviamo dopo, mi riferisco a un sistema di classificazione che può facilitare sia l’identificazione che la combinazione di vari tipi di carattere. Forse le tre categorie che ho scritto prima possono sembrare poche, considerando quante font diverse ci sono in circolazione, ma se diventassero centinaia di categorie, sicuramente il risultato sarebbe controproducente. I caratteri con grazie o graziati (non da Dio), sono chiamati “Old style” e si tratta dei primi caratteri romani che sono stati creati tra la fine del XV secolo e la metà del XVIII secolo (o successivi ma basati su tipi di carattere originari di questo periodo). Nei Graziati Old style l’asse dei tratti curvi è solitamente inclinato verso sinistra, così che il peso possa approssimativamente cadere in basso a sinistra e in alto a destra; inoltre le grazie qui sono sempre modulate, con raccordi curvi, mentre quelle di testa sono ad angolo. Vuoi un esempio pratico? Il font Bembo!
Ci sono poi i Graziati Transizionali, uno stile lanciato da John Baskerville a metà del XVIII secolo. La carta calandrata e i perfezionamenti apportati ai metodi di stampa hanno permesso la riproduzione dei tratti molto più fini e di caratteri dalle forme più delicate. In genere l’asse dei tratti è verticale e il contrasto è più pronunciato rispetto ai disegni Old Style, le grazie sono sempre modulate e quelle di testa risultano oblique. Si tratta di caratteri transizionali, perché costituiscono la transizione dai disegni precedenti ai bodoniani e presentano alcune caratteristiche di entrambi.
I Graziati Bodoniani o Neoclassici, sono invece caratteri creati sul finire del XVIII secolo e l’opera di Giambattista Bodoni incarna questo stile. Il contrasto fra tratti spessi e sottili è brusco e marcato, l’asse dei tratti curvi è verticale, mentre le grazie hanno modulazioni minime o assenti, spesso i tratti terminali sono a bottone. Si tratta di disegni piuttosto elaborati, palesemente artificiosi.
I Graziati Egiziani sono diventati popolari nel XIX secolo come stili usati nei titoli pubblicitari. Questi caratteri presentano grazie molto pesanti con modulazioni minime o assenti e, solitamente, le variazioni nello spessore dei tratti sono impercettibili.
Ci sono poi i caratteri Lineari Grotteschi, i primi lineari ad aver riscosso successo commerciale. In questi caratteri il contrasto tra lo spessore dei tratti è evidente, molte aste curve sono leggermente squadrate e diversi disegni presentano la g minuscola composta da occhiello e anello tipica dei caratteri romani. Alcuni lineari moderni derivano proprio dai primi grotteschi, ma dalla forma più raffinata. Un esempio? Sì… è proprio lei!
Ci sono infine (no, non è vero, non sono finiti) i Lineari Umanistici basati sulle proporzioni dei caratteri lapidari romani. In molti casi il contrasto fra lo spessore dei tratti è evidente e molti affermano che questi caratteri offrano la migliore leggibilità, come disegno, carattere e come composizione del testo. Molti di questi sono influenzati dalla calligrafia.
È vero, non ti ho raccontato dei Graziati Lapidari, dei Graziati Clarendon, dei Lineari Geometrici (ti piacciono Futura e Avenir?) e dei Lineari Quadrati, ma guarda questo bel video e ne sarai felice, oppure se sei un nerd/azzeccato come la sottoscritta, fatti un bel regalo e leggi questo.
Torniamo da dove eravamo rimasti… Regular, Italic, Bold, si tratta delle varianti di peso con cui hai a che fare praticamente ogni giorno, possiamo anche definirli stili di carattere. Il peso di un carattere è definito dalla relazione tra lo spessore delle aste e l’altezza del carattere. Lo stile standard è il Regular, ma ci sono il Thin, il Light e l’Ultralight che sono le varianti più leggere che tu possa trovare. Medium, Semibold e Bold che sono varianti più spesse. Ovviamente ci sono poi le famiglie scostumate, allargate (pure troppo) che non si accontentano, MAI. Un esempio classico? Prova a indovinare e poi clicca qui.
PS e poi ci sono i best seller di sempre!
Che cos’è la geografia dei caratteri?
All’interno di ogni carattere, ciascuna lettera racchiude in sé una geografia tutta sua. Si tratta di un linguaggio preciso, affascinante e inflessibile, dove il lavoro dei punzonatori del quindicesimo secolo resiste ancora e combatte contro la corruzione digitale. La forma e la controforma sono le aree racchiuse di una lettera, l’occhiello è la forma curva che prende la g, o la b, le aste invece sono le basi della costruzione e possono essere sottili o spesse, a seconda del disegno. Ci sono le tre grazie: quella raccordata che ha un elemento curvo simile al tronco di un albero, quella rettiforme è una linea retta e quella angliforma ha la forma di un angolo geometrico.
Il carattere, nella sua interezza, si chiama occhio totale, i bracci invece sono le proporzioni terminali delle aste rette e curve aperte, il lato piatto del carattere prende il nome di spalla e infine l’occhio è tutta la forma in rilievo.
Sui caratteri ne sono state dette di tutti i colori!
Beatrice Warde, volto e voce della Monotype Corporation negli anni Venti e Trenta, fece un’osservazione assolutamente veritiera sulla distinzione tra due tipi di leggibilità. Un carattere di corpo più grande non sempre è considerato più scorrevole. Un oratore che urla a squarciagola sicuramente può essere più udibile, “ma una bella voce è inudibile in quanto tale. Non devo essere io a dirvi che, se iniziate ad ascoltare le inflessioni e i ritmi di una voce che arriva da un podio, vi addormenterete”. Anche per la stampa il suo pensiero non si allontana molto da questo: “la cosa più importante è che essa trasmette pensieri, idee, immagini da una mente ad altre menti. Questa affermazione è quella che si potrebbe definire la porta d’ingresso della scienza della tipografia”. Per la Warde il tipografo è quella figura che ha il compito di costruire la finestra tra il letto, che si trova nella stanza, e “il paesaggio formato dalle parole dell’autore. Può creare una vetrata variopinta di meravigliosa bellezza, ma totalmente inutile; in altre parole può usare un carattere sontuoso e superbo come un lineare da testo, che è splendido da guardare, ma non da interpretare. Oppure può ricorrere a quella che io chiamo tipografia trasparente o invisibile. A casa ho un libro di cui non ho alcun ricordo visivo per quanto riguarda la veste tipografica; quando ci penso, vedo solo i tre moschettieri e i loro compagni che camminano con aria sussiegosa su e giù per le strade di Parigi”.
Una cosa però è certa, negare l’idea che il carattere possa rappresentare e diventare “il messaggio” oppure ancora che non possa in qualche modo emozionare o sorprendere, smorza certamente l’entusiasmo, frenando di conseguenza il progresso stesso.
Ma chi sono questi uomini di “carattere”?
Ecco qualche nome che sicuramente avrai già sentito:
GILL SANS
Eric Gill è ricordato per le sue incisioni su legno e pietra, per la sua passione per la progettazione grafica, per la sua dedizione all’artigianato inglese, ma soprattutto per i suoi caratteri in particolare il Gill Sans: uno dei primi sans serif classici del ventesimo secolo.
Eric Gill però è ricordato anche per le sue sperimentazioni sessuali scandalose e incessanti. Fiona MacCarthy, nel 1989, pubblicò la biografia dell’artista e i particolari in essa contenuti sono davvero raggelanti. Tutto ciò che fu riportato nella biografia era tratto dai diari di Gill e riguardava i suoi rapporti eccentrici con le figlie, la sorella e il cane (sì… avete letto bene). Ci sono delle fotografie di Gill con indosso un grembiule così lungo da arrivare ai piedi, foto già di per sé inquietanti, ma nella biografia vi sono descrizioni delle sue erezioni incestuose e… canine (<<Continuato esperimento con cane [...] e scoperto che un cane si congiunge con un uomo>>).
La MacCarthy sostiene che il priapismo dell’artista fu il prodotto di una mente curiosa che sentiva il bisogno di provare e spingere le proprie esperienze al limite. L’autrice potrebbe avere ragione, tuttavia c’è chi l’ha presa a ridere come l’americano Barry Deck, diventato famoso per il suo Template Gothic - sans serif, che nel 1991 ideò un vago tributo a Gill chiamandolo Canicopulus; chi invece prova un senso di disgusto nel sentir nominare il nome di Eric Gill e infatti un forum sul sito Typophile ha proposto di boicottare questo carattere per via del passato del suo creatore.
Nonostante tutto il Gill Sans è un carattere curiosamente asessuato ed era il carattere più britannico che si fosse mai visto. Dall’aspetto sobrio, decoroso e timidamente fiero e lo fu anche nel suo utilizzo: adottato dalla Chiesa d’Inghilterra, dalla BBC e dalla British Railways. Sicuramente un carattere versatile, dalla struttura accurata, ideale per i cataloghi e le riviste scientifiche, intrinsecamente affidabile, privo di fronzoli e pratico.
BASKERVILLE
John Baskerville fu un disegnatore di caratteri di Birmingham, laccatore e incisore di lapidi, portava avanti però le sue vere passioni: la stampa e la creazione di lettere. Oggi è uno dei grandi nomi nella storia dei caratteri, ma in vita non ebbe affatto successo. I suoi caratteri, per quel periodo, erano forse troppo delicati, equilibrati, snelli, addirittura troppo raffinati; apparvero troppo moderni, anche se oggi sono classificati come tradizionali. Il carattere di Baskerville fu invece essenziale, in diversi corpi e forme, rappresentato probabilmente da una lettera che lo rende inconfondibile: la Q. La sua coda si estende ben oltre la larghezza del corpo, è un appariscente svolazzo che solitamente si riscontra soltanto nella calligrafia. Negli anni Cinquanta il Baskerville divenne un carattere molto utilizzato, soprattutto nella pubblicità, perché è in grado di esprimere la giusta autorevolezza, ma anche tradizione, richiamando a qualcosa di prettamente formale, inglese.
La moglie di John Baskerville, Sarah, dopo la morte del marito, organizzò un vero e proprio mercatino dell’usato per vendere tutto ciò che apparteneva a John: apparecchiature tipografiche, i punzoni, le matrici.
In realtà questo genio dei caratteri, la cui vedova non vedeva l’ora di liberarsi della sua grande passione, era un tipo un po' maniacale, come giusto che sia. Benjamin Franklin, nel 1760, scrisse all’amico Baskerville descrivendogli di alcuni pregiudizi che alcune persone avevano nei confronti del suo lavoro. Franklin era un industrioso tipografico di Fleet Street che promosse l’utilizzo del Baskerville negli Stati Uniti prima di dedicarsi ad ambizioni più scientifiche e costituzionali.
COMIC SANS
Il colpevole creatore di questo carattere è Vincent Connare che, nel 1994, era seduto davanti al suo computer e stava pensando a come migliorare la condizione umana. Probabilmente è così che nascono quasi tutte le font efficaci e Connare voleva risolvere un problema in cui i suoi datori di lavoro erano incappati senza riflettere. Lavorava per Microsoft Corporation con la qualifica di creatore tipografico, arrivava dall’Agfa/Compugraphic dove aveva ideato molte font (anche per Apple!) e aveva studiato fotografia e pittura. Vincent Connare stava armeggiando con una copia di prova di Microsoft Bob, tuttavia il programma aveva un difetto in particolare: la font. Per questo motivo Connare fece presente ai creatori del programma che forse, grazie alla sua esperienza professionale con i software educativi e per bambini, sarebbe stato la persona adatta per modificare la veste del loro ultimo prodotto (che utilizzava Times New Roman). Nacque così il Comic Sans, anche se per molti versi esisteva da prima che Connare lo legittimasse dandogli un nome (esisteva nei libri a fumetti e nei giornalini). Connare del resto aveva sulla sua scrivania alla Microsoft Batman: il ritorno del cavaliere oscuro, di Frank Miller, Klaus Jason e Lynn Varley, libro che insieme a Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons segnò il momento in cui i fumetti si affermarono come letteratura e come arti (restiamo pur sempre nerd inside). Agli occhi del tipografo, il suo valore era racchiuso nella possibilità di raggiungere una fusione quasi sublime tra immagini e testo, un po’ come quando Joker, apparentemente in punto di morte, dice: CI… VEDIAMO… ALL’INFERNO. e il lettore passa da un riquadro all’altro con il fiato sospeso.
Il Comic Sans ebbe una diffusione globale dopo essere stato incluso come carattere supplementare in Windows 95, tutti potevano vederlo, ma soprattutto utilizzarlo! Un carattere irriverente, ingenuo che iniziò a comparire sui menu dei ristoranti, sui biglietti di auguri, sugli inviti alle feste, sui manifesti… Ma anche sulle fiancate delle ambulanze, sui siti pornografici, sulle schiene delle t-shirt indossate dalla nazionale di basket portoghese, sulla BBC, sul Time, negli spot delle calzature Adidas… Tutto questo spinse il mondo a pensare, ma forse il Times New Roman non è poi così male!
È stato il font più odiato di sempre nel nuovo secolo, tanto che nacque un’azienda a domicilio, dei coniugi Holly e David Combs, che vendevano per corrispondenza tazze, cappellini e t-shirt con la scritta Ban Comic Sans “No al Comic Sans”.
TIMES NEW ROMAN
Il Times di Londra incaricò Stanley Morison di dirigere la produzione di un nuovo carattere per il loro quotidiano e Victor Lardent si occupò del disegno. Il Times New Roman fece il suo debutto nel 1932, anche se la storia delle sue origini è ancora oggi, molto dibattuta. Non si può negare che questo carattere si sia diffuso tantissimo grazie alla sua presenza su Windows e Macintosh, ma nonostante la sua forse eccessiva popolarità è innegabile che si tratti di un carattere di testo particolarmente facile da leggere e che è stato e viene utilizzato in milioni di documenti di tipo scolastico, commerciale e privato.
MRS EAVES & MR EAVES
La signora Baskerville, prima di diventare tale, a sedici anni sposò Richard Eaves a cui diede cinque figli prima di essere lasciata. In seguito divenne la governante e amante di John Baskerville che poté sposare soltanto alla morte di Eaves, avvenuta nel 1764.
Questa vicenda incuriosì molto la disegnatrice di font contemporanea Zuzana Licko che, mentre cercava il nome giusto da attribuire ad un carattere, dopo le vicende di Mrs Eaves, decise di renderle omaggio. Il Mrs Eaves, comparso nel 1996, ha dei tratti meno modulati del Baskerville, conservandone però l’apertura e la leggibilità, così come il suo più recente compagno sans serif Mr Eaves. Si tratta di un carattere Baskerville senza grazie che però conserva la famosa Q con la coda a penna d’oca.
BODONI
Giambattista Bodoni è stato uno dei punzonisti, disegnatori di caratteri e stampatori più rinomati nell’Europa del XVIII secolo. Egli ha creato uno dei primi caratteri moderni o anche detti “bodoniani”. Nato a Saluzzo nel 1740, Bodoni già a diciotto anni lavorava come compositore per Propaganda Fide a Roma e, dieci anni dopo, si è ritrovato a dirigere la stamperia del duca di Parma.
Pierre-Simona Fournier e Firmin Didot furono i disegnatori che hanno ispirato particolarmente Giambattista e sono diventati dei veri e propri ispiratori a partire dal 1798.
Il Bodoni è stato uno dei primi caratteri moderni a esibire un estremo contrasto fra tratti spessi e sottili. Nel suo “Manuale tipografico” ha documentato la sua filosofia e i suoi principi tipografici, rivelando l’utilizzo innovativo di caratteri di grandi dimensioni, di spazi bianchi generosi e di decorazioni minime sulla pagina. Le sue stampe e i suoi disegni sono considerati, ancora oggi, tra i più raffinati ed eleganti mai realizzati.
GARAMOND
Claude Garamond, nato in Francia nel 1500, fu il primo disegnatore a creare tipi di carattere, intagliare punzoni e a vendere i tipi prodotti in questo modo. Tuttavia anche se in molti compravano e usavano i suoi caratteri, il successo economico di Garamond non durò a lungo. Egli fu comunque uno dei più illustri disegnatori di caratteri della sua epoca e forse, del Rinascimento. Alla fine del XVI secolo il romano Garamond era ormai diventato lo stile europeo di riferimento e due secoli dopo era ancora utilizzato. Soltanto a partire dal XX secolo nelle stamperie cominciarono ad apparire nuove versioni e interpretazioni del suo stile.
HELVETICA
Max Miedinger, nato a Zurigo nel 1910, tra il 1926 e il 1930, si formò come compositore e agli inizi degli anni ’50 divenne disegnatore di caratteri presso la fonderia Haas di Münchenstein in Svizzera. Il suo carattere più famoso, l’Helvetica disegnato nel 1956, è tutto il lineare più diffuso al mondo. Fu proprio alla Haas che Edouard Hoffmann chiese a Miedinger di adattare il già esistente Haas Grotesk della fonderia al gusto moderno. Questo carattere traeva le proprie origini da caratteri tedeschi del XIX secolo, come l’Akzidenz Grotesk della Berthold. Il nuovo carattere Helvetica si rivelò una creazione originale piuttosto che una rivisitazione con lievi modifiche, stravolgendo i piani originali. Il Neue Haas Grotesk, così fu chiamato allora, divenne popolare e fu lanciato nel 1957 con il nome Helvetica, l’aggettivo svizzera in latino, per trarre vantaggio proprio dal crescente apprezzamento per la tipografia svizzera.
FUTURA
Paul Renner fu uno stampatore, grafico e insegnante tedesco conosciuto come il creatore del Futura, un disegno innovativo che divenne il caposaldo del modernismo tipografico e ancora oggi molto apprezzato. Nel corso degli anni ’20 e ’30 fu membro di spicco della Deutscher Werkbund (Lega tedesca artigiani) e, nello stesso periodo, creò i suoi primi lavori di grafica per libri di diversi editori attivi a Monaco. Come autore, stabilì una nuova serie di linee guida per ottenere grafiche di libri equilibrate nei suoi Typografie als Kunst (La tipografia come arte) e Die Kunst der Typographie (L’arte della tipografia). Tuttavia nel 1933, Jan Tschichold, collega disegnatore che lo stesso Renner reclutò, fu rimosso dalla carica e internato dai nazisti con l’accusa di “tipografia sovversiva” e quattro anni dopo, nel 1937, lo stesso Renner fu costretto a dare le dimissioni.
Il carattere, questo sconosciuto
Ti starai chiedendo, ma allora qual è il font giusto da usare per il mio progetto? Non temere, ci stiamo arrivando… quasi.
Jan Tschichold, tipografo di Lipsia, nel trattato Die Neue Typographie scrisse: L’essenza della Nuova Tipografia è la chiarezza. Ciò la contrappone volutamente alla vecchia tipografia, il cui obiettivo era la bellezza, e la cui chiarezza non raggiungeva il livello elevato di cui abbiamo bisogno attualmente. Oggi è necessaria la massima chiarezza perché una straordinaria quantità di materiale stampato si sforza variamente di attirare la nostra attenzione, il che richiede un’assoluta economia espressiva (1928).
I caratteri sono come la vita, governati da regole. Non c’è nulla di male ad avere delle regole da rispettare, ma fino a che punto si può arrivare senza soffocare la creatività?
Paul Felton, scrittore, ha creato un libro che coniuga bene e male, da una parte The Ten Commandments of Typographye dall’altra Type Heresy, e queste sono le regole così come Dio le avrebbe volute... secondo Felton:
1) non usare più di tre caratteri in un documento,
2) scrivi i titoli in grande e in cima alla pagina,
3) non usare altri corpi all’infuori di 8-10 punti per il testo,
4) ricorda che un carattere non leggibile non è veramente un carattere,
5) onora la crenatura, cosicché lo spazio bianco tra i caratteri sia visivamente uniforme,
6) metti in risalto con discrezione eventuali elementi all’interno del testo,
7) non usare solo le maiuscole quando componi testi lunghi,
8) ordina sempre le lettere e le parole su una linea di base,
9) usa la composizione a bandiera allineata a sinistra,
10) evita le righe troppo corte o troppo lunghe.
E come disse Jonathan Barnbrook, creatore delle famiglie di font Mason e Priori: “La tipografia riflette realmente tutta la vita umana e cambia di generazione in generazione. Potrebbe tranquillamente essere la rappresentazione visiva più diretta del tono di voce con cui esprimiamo lo spirito del tempo”.
Per tutto il resto c’è Masterc… ops no scusa, per tutto il resto affidati alla tua fantasia, al gusto, del resto quando si parla di design tipografico si parla sia di scienza che di arte, in quanto è necessario un delicato equilibrio tra tutti gli elementi della composizione in modo tale da dare vita a soluzioni adeguate e funzionali. Scegliere il carattere giusto è sicuramente ardua impresa, tuttavia per facilitare questo compito avere una chiara comprensione dell’applicazione pratica è importante.
Il prodotto finale sarà digitale o a stampa? È richiesta una varietà di pesi e di stili inclinati? Se sono previste molte cifre e frazioni, il carattere dispone di un set completo di opzioni OpenType per i numeri? Se è vero che ogni carattere ha un proprio stile e viene percepito in modo diverso, è per sempre la sua applicazione a decretarne in maniera definitiva la funzionalità.